Il progetto sarà illustrato in un convegno il prossimo 12 ottobre al “Cotton Village”. C’è il patrocinio dell’Amministrazione Comunale.
La fase avanzata della malattia e le cure contro il dolore sia in ospedale e sia a domicilio, cura meglio conosciuta con il termine di “Algologia”. Questo l’importante passo avanti fatto dall’ospedale di Piedimonte Matese che attraverso il dottor Bennardo Di Matteo. dipendente dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione presso l’ Ambulatorio e Day Hospital Terapia del Dolore e C.P. Ospedale “AGP” illustrerà durante il Convegno sulla terapia del dolore che avrà per tema le: “Dinamiche assistenziali nelle cure palliative: la fase avanzata di malattia in ospedale e a domicilio”. Si tratta di una innovazione nel settore pubblico, atteso che finora il paziente doveva recarsi presso la sede dell’ospedale per effettuare le cure del caso. C’è ora, quindi, la possibilità per quei malati terminali di poter effettuare adeguate cure e un’assistenza soddisfacente anche presso il domicilio. L’Amministrazione Comunale, ed in particolar modo il sindaco Vincenzo La kermesse infatti, si propone di trattare gli aspetti assistenziali nei vari percorsi dedicati ai pazienti con dolore cronico da cancro, sia dal punto di vista organizzativo che gestionale. Cappello e l’assessore Marcellino Iannotta, non hanno voluto far mancare il sostegno a questa iniziativa, patrocinando il Convegno che si svolgerà il prossimo dodici ottobre presso il “Cotton Village” di Piedimonte Matese. L’iniziativa, oltre a promuovere una più ampia diffusione della cultura della terapia del dolore (algologia) e cure palliative, vuole, altresì, essere un anello di congiunzione tra l’attività ospedaliera e la medicina del territorio.
Per algologia, si intende l’approccio terapeutico e scientifico al trattamento del dolore. Il dolore rende spesso il soggetto inabile sia da un punto di vista fisico che emotivo. Il dolore acuto relativo ad un trauma fisico è spesso reversibile naturalmente. Il dolore cronico, invece, generalmente è causato da condizioni solitamente difficili da trattare. Talvolta i neurotrasmettitori continuano ad inviare la sensazione del dolore anche quando la causa scatenante non esiste più; per esempio un paziente a cui è stato amputato un arto può provare dolore riferito all’arto che non c’è più (sindrome dell’arto fantasma). Il trattamento con mezzi farmacologici è composto principalmente da analgesici non oppiacei, oppiacei, antidepressivi triciclici, anticonvulsivanti, le misure non farmacologiche più utilizzate sono l’esercizio fisico e applicazione di freddo o calore. Il medico che si occupa di terapia del dolore è storicamente l’anestesista. La terapia del dolore negli ultimi anni, a fatica (soprattutto in Italia), tende a divenire una pratica collettiva di tutti i medici (dal medico di famiglia, al neurologo, chirurgo….), anche se per assistere alla sua piena diffusione e disponibilità nei fatti molta strada è ancora da percorrere. Il contributo specifico dell’anestesista è costituito da qualcosa in più della semplice terapia medica: la modulazione della trasmissione del dolore nel sistema nervoso mediante somministrazione di anestetici (blocchi nervosi) o altri strumenti di interazione col tessuto nervoso, il più delle volte correnti elettriche (radiofrequenza, stimolazione nervosa midollare o di nervi periferici. Questo ritardo a volte veniva attribuito alla “cultura cattolica che vedrebbe il dolore come forma di espiazione. Pur riconoscendo che ciò possa essere accaduto presso qualche associazione religiosa (sebbene ciò contraddica la storia delle invenzioni cattoliche per soccorrere l’uomo sofferente), la posizione ufficiale della Chiesa Cattolica è desumibile in modo inequivoco da un documento di Pio XII agli anestesisti del 24 febbraio del 1957: “La soppressione del dolore e della coscienza per mezzo di narcotici (quando è richiesta da una indicazione medica) è permessa dalla religione e dalla morale al medico e al paziente”.
Il 15 marzo 2010 il Parlamento italiano ha licenziato una legge in cui si afferma il diritto alla cura del dolore per ogni individuo indipendentemente dalla malattia e dall’età. La terapia analgesica viene abitualmente applicata in vari contesti, da quello oncologico, a quello postchirurgico, traumatologico, neurologico (in particolare cefalee, nevralgie…), a contesti con minor gravità, ma altrettanto invalidanti: come l’ortopedico/reumatologico, odontoiatrico… La terapia del dolore è spesso utilizzata soprattutto durante le ultime fasi di una malattia terminale ma in realtà la maggior parte dei pazienti a cui la medicina del dolore può essere utile e si dovrebbe indirizzare sono affetti da dolore cronico ma non da tumori (esempi: mal di schiena, cefalee, esiti di traumi, esiti di interventi chirurgici, malattie neurologiche). Una comune credenza riguardo ai farmaci oppiacei vuole che si renda necessario: un aumento dei dosaggi di farmaci oppiacei, la cosiddetta tolleranza e la necessità di continuare l’assunzione del farmaco oppiaceo (la causa per cui viene assunto il farmaco, ovvero il dolore sia scomparso) per via della dipendenza fisica e psichica. Pur essendo fenomeni noti e studiati, sono, nella comune esperienza clinica, effetti che si realizzano dopo molto tempo (normalmente svariati mesi) e soprattutto con una intensità bassa. Nella pratica clinica, nei pazienti affetti da dolore, sono fenomeni comunemente trascurabili. Qualsiasi testo di algologia riporta che la tolleranza e la dipendenza da oppiacei è molto limitata. La famosa necessità di aumentare le dosi, (nel setting della terapia del dolore con oppiacei) è un fenomeno clinicamente falso. Altrettanto difficile, anche se non impossibile, è provocare la morte per overdose con i farmaci oppiacei, nel caso di un’assunzione accidentale eccessiva. La finestra terapeutica, per lo meno negli adulti, per gli oppiacei è ben più ampia di molti farmaci usati normalmente nelle terapie (ad esempio gli antiaritmici) e i farmaci cardiocinetici.
Per algologia, si intende l’approccio terapeutico e scientifico al trattamento del dolore. Il dolore rende spesso il soggetto inabile sia da un punto di vista fisico che emotivo. Il dolore acuto relativo ad un trauma fisico è spesso reversibile naturalmente. Il dolore cronico, invece, generalmente è causato da condizioni solitamente difficili da trattare. Talvolta i neurotrasmettitori continuano ad inviare la sensazione del dolore anche quando la causa scatenante non esiste più; per esempio un paziente a cui è stato amputato un arto può provare dolore riferito all’arto che non c’è più (sindrome dell’arto fantasma). Il trattamento con mezzi farmacologici è composto principalmente da analgesici non oppiacei, oppiacei, antidepressivi triciclici, anticonvulsivanti, le misure non farmacologiche più utilizzate sono l’esercizio fisico e applicazione di freddo o calore. Il medico che si occupa di terapia del dolore è storicamente l’anestesista. La terapia del dolore negli ultimi anni, a fatica (soprattutto in Italia), tende a divenire una pratica collettiva di tutti i medici (dal medico di famiglia, al neurologo, chirurgo….), anche se per assistere alla sua piena diffusione e disponibilità nei fatti molta strada è ancora da percorrere. Il contributo specifico dell’anestesista è costituito da qualcosa in più della semplice terapia medica: la modulazione della trasmissione del dolore nel sistema nervoso mediante somministrazione di anestetici (blocchi nervosi) o altri strumenti di interazione col tessuto nervoso, il più delle volte correnti elettriche (radiofrequenza, stimolazione nervosa midollare o di nervi periferici. Questo ritardo a volte veniva attribuito alla “cultura cattolica che vedrebbe il dolore come forma di espiazione. Pur riconoscendo che ciò possa essere accaduto presso qualche associazione religiosa (sebbene ciò contraddica la storia delle invenzioni cattoliche per soccorrere l’uomo sofferente), la posizione ufficiale della Chiesa Cattolica è desumibile in modo inequivoco da un documento di Pio XII agli anestesisti del 24 febbraio del 1957: “La soppressione del dolore e della coscienza per mezzo di narcotici (quando è richiesta da una indicazione medica) è permessa dalla religione e dalla morale al medico e al paziente”.
Il 15 marzo 2010 il Parlamento italiano ha licenziato una legge in cui si afferma il diritto alla cura del dolore per ogni individuo indipendentemente dalla malattia e dall’età. La terapia analgesica viene abitualmente applicata in vari contesti, da quello oncologico, a quello postchirurgico, traumatologico, neurologico (in particolare cefalee, nevralgie…), a contesti con minor gravità, ma altrettanto invalidanti: come l’ortopedico/reumatologico, odontoiatrico… La terapia del dolore è spesso utilizzata soprattutto durante le ultime fasi di una malattia terminale ma in realtà la maggior parte dei pazienti a cui la medicina del dolore può essere utile e si dovrebbe indirizzare sono affetti da dolore cronico ma non da tumori (esempi: mal di schiena, cefalee, esiti di traumi, esiti di interventi chirurgici, malattie neurologiche). Una comune credenza riguardo ai farmaci oppiacei vuole che si renda necessario: un aumento dei dosaggi di farmaci oppiacei, la cosiddetta tolleranza e la necessità di continuare l’assunzione del farmaco oppiaceo (la causa per cui viene assunto il farmaco, ovvero il dolore sia scomparso) per via della dipendenza fisica e psichica. Pur essendo fenomeni noti e studiati, sono, nella comune esperienza clinica, effetti che si realizzano dopo molto tempo (normalmente svariati mesi) e soprattutto con una intensità bassa. Nella pratica clinica, nei pazienti affetti da dolore, sono fenomeni comunemente trascurabili. Qualsiasi testo di algologia riporta che la tolleranza e la dipendenza da oppiacei è molto limitata. La famosa necessità di aumentare le dosi, (nel setting della terapia del dolore con oppiacei) è un fenomeno clinicamente falso. Altrettanto difficile, anche se non impossibile, è provocare la morte per overdose con i farmaci oppiacei, nel caso di un’assunzione accidentale eccessiva. La finestra terapeutica, per lo meno negli adulti, per gli oppiacei è ben più ampia di molti farmaci usati normalmente nelle terapie (ad esempio gli antiaritmici) e i farmaci cardiocinetici.
Nuova Gazzetta di Caserta